Conclusioni: moneta politica e paradigma del debito

Dalle considerazioni svolte possiamo concludere come le principali cause delle attuali crisi economiche siano da ricercarsi, da un lato, nella deregolamentazione dei mercati finanziari, che ha portato ad una mobilità dei capitali al di fuori del controllo da parte degli stati e, dall’altro, nel perseguimento spinto di politiche di concorrenza commerciale fra le nazioni, basate su un modello mercantilista, che non può essere retto dal sistema finanziario dei paesi meno competitivi, i quali tendono ad accumulare deficit, prima privati e poi pubblici.

Il mix di queste due cause genera una reazione fra le stesse tale per cui la finanza internazionale, libera nei propri movimenti, sferra attacchi speculativi sul debito pubblico dei paesi più in difficoltà.

Completa il quadro, in Europa, infine, la mancata effettiva collaborazione fra stati i quali, anziché agire in uno spirito di condivisione e cooperativo, tendono, invece, a “regolare” i propri conti con le sole logiche del “dare e dell’avere”.

A livello globale, poi, possiamo notare come i paesi in avanzo strutturale tendano a condizionare e controllare le politiche dei paesi in deficit da essi dipendenti.

Ecco che, allora, a fronte di questi scenari, lo Stato, nel modello teorico proposto, quanto meno, può giungere, attraverso la creazione della moneta politica, a spezzare il “criterio o paradigma del debito”, nella particolare situazione che lo vede chiamato ad intervenire in aiuto di un’economia in affanno.

Lo Stato (entità politica a perimetro variabile, anche sovra nazionale) riappropriandosi di una sua prerogativa/potestà, che pare appartenergli in modo originario e, cioè, il potere di emettere moneta, riesce ad espletare, nel modo (razionalmente) migliore, l’irrinunciabile funzione (essenziale, si ribadisce, nelle odierne società complesse) di indirizzo e governo dell’economia, nell’interesse dei consociati che esso rappresenta e di cui è ente esponenziale.

Il fine (e forse esclusivo fine) è, soprattutto, quello di poter intervenire con efficaci iniziative economiche anticicliche e ciò a prescindere dai vari approcci (teorici e, talvolta, ideologici) cui si ritenga di aderire (approcci che oscillano, nei modelli di economia di mercato, dal liberismo all’interventismo pubblico di tipo Keynesiano).

In un contesto del genere pare rendersi necessario un riassetto normativo istituzionale. Andrebbe posta particolare attenzione al momento di adozione delle decisione di investimento pubblico, alla ripartizione fra soggetti (comunque, come già osservato, da considerarsi pubblici, in virtù delle funzioni svolte) delle competenze monetarie e fiscali.

Si possono, inoltre, immaginare procedure aggravate per l’approvazione di programmi di investimento da finanziarsi con emissione di moneta. Tali norme potrebbero ben essere anche di rango costituzionale, nonostante vi siano importanti e non sottovalutabili argomentazioni contrarie. Del resto una norma primaria del genere non sfigurerebbe al fianco di pleonastiche norme di principio tutt’ora esistenti  (come quella che impone, nel bilancio dello Stato, di indicare la fonte di entrata per ogni nuova voce di spesa).

Così, particolare attenzione normativa andrebbe, in ogni caso, rivolta al fine di creare le effettive condizioni per un’ampia e trasparente partecipazione alle gare e procedure d’appalto ed al concomitante controllo contabile teso a monitorare la fase di realizzazione delle opere.

In conclusione,

abbiamo parlato di “riappropriazione del potere monetario” che spezza  (in particolari ipotesi) il “criterio o paradigma del debito”. Anche il debito, a ben vedere si contrappone ad un “altro potere”, quello del “credito” da cui deriva. Abbiamo già detto che in un contesto di economia di mercato i rapporti di credito debito esprimono poteri e doveri  (meglio, diritti ed obblighi) del tutto fisiologici e necessari ma, pare, altrettanto sensato concludere che questo criterio non possa, sempre ed in ogni caso, valere  (si pensi al fallimento del modello del “mercato perfetto”) soprattutto nelle situazioni di grave difficoltà economica, che mettono a repentaglio un’auspicabile esistenza dignitosa da parte di milioni di esseri umani.