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LA VOLONTÀ DI DOMINIO FINANZIARIO

LA VOLONTÀ DI DOMINIO FINANZIARIO

In un recente articolo il Finacial Times ha sottolineato come in questa situazione di grave recessione economica sarebbe necessario che la BCE procedesse in modo poderoso ad emettere moneta acquistando titoli di stato dei paesi in difficoltà, come l’Italia.
E’ la linea che stanno seguendo, ad esempio, la FED americana e la Banca del Giappone.
Si tratta di un consiglio del tutto condivisibile e che costituisce l’idea base di quanto scritto nelle pagine di questo sito: in talune situazioni di particolare difficolta economica è necessario che la Banca Centrale emetta moneta senza indebitamento da parte degli stati.

Tale ipotesi, però, è sempre stata avversata con la scusa che così procedendo si creerebbe inflazione. Si tratta questo, a ben vedere, di un pericolo reale e concreto che può essere scongiurato a queste precise condizioni: la liquidità immessa nel sistema deve essere impiegata in modo produttivo, mediante la creazione di nuovi beni e servizi, mantenendo così rispettata l’eguaglianza fra incremento di base monetaria ed aumento di PIL; inoltre, occorre un’attenta coordinazione fra politiche fiscali e misure monetarie, (intendendo quale politica fiscale l’azione governativa volta ad investimenti produttivi e strutturali anti ciclici).


Questo, oggi, purtroppo è ben lungi dal realizzarsi.
Infatti, assistiamo alla massima disorganicità, oltre che sull’entità degli interventi anche sulla loro tipologia e coordinazione.
Tutto ciò rischia concretamente di non sortire gli effetti sperati di ripresa.
È necessario che le due leve della politica economica, ovverosia quella fiscale e quella monetaria, siano strettamente congiunte e coordinate, non separate, come d’uso, invece, nello scenario odierno.


Prendiamo la situazione italiana a titolo di esempio:
1. il governo palesa chiaramente di non avere risorse sufficienti per gli immediati interventi di sostegno alle imprese, alle famiglie e, più in generale, all’economia;
2. le misure annunciate di interventi pubblici, 6 miliardi all’anno per 10 anni, sono del tutto inadeguate, occorrendo, invece, investimenti almeno decuplicati, da realizzarsi in un lasso temporale non maggiore ai due anni;
3. l’abdicazione da parte del nostro Stato sia alla potestà monetaria, avvenuta negli anni ’80 con la privatizzazione della Banca d’ Italia e con la successiva introduzione dell’euro, sia alla potestà fiscale avvenuta nel 2011 con l’introduzione, per volere della Germania, del pareggio di bilancio nella nostra Costituzione, ci obbliga, oggi, ad indebitarci mendicando aiuti in sede europea.
Ma uno stato che voglia porre rimedio al drammatico scenario economico che ha di fronte dovrebbe guardare oltre, emettendo moneta da investire proficuamente a sostegno del proprio paese.


È chiaro che stiamo descrivendo uno scenario di economia mista ma riteniamo che nella situazione attuale questa sia l’unica strada da percorrere.
Ovvio anche che il presupposto essenziale per attuare quanto descritto è la correttezza dell’agire politico e la concreta capacità di programmazione.


Le risorse per realizzare tutto ciò ci esistono e, come detto, le ha la Banca centrale, sol che essa venisse fatta agire nel modo in cui dovrebbe, presupponendo che l’Istituto di emissione debba sottostare alle linee economiche decise in sede politica.


Ma evidentemente, a livello istituzionale europeo siamo ben lungi da questo scenario: come sappiamo, infatti, l’architettura finanziaria comunitaria prevede una netta autonomia della Banca centrale, retta su un sistema piramidale privatistico, il cui governo della moneta è asservito più alle logiche commerciali del profitto che non di soddisfacimento dei bisogni delle comunità.


La logica sottintesa è quella del paradigma del debito, in quanto anche gli stati devono soggiacervi, in modo egregio e performante, pena gravi ripercussioni sui mercati finanziari, anch’essi mossi da logiche aliene ai reali bisogni sociali, con conseguenti pesanti tagli alle spese sociali e successive privatizzazioni, a tutto vantaggio e profitto, evidentemente, dei grandi poteri economici.


Questo scenario deteriore nasce da precise cause: da un lato vi è la necessità che il modello di deregolamentazione e privatizzazione, che ha preso l’avvio negli anni 80, funzionale alla globalizzazione economica, continui, perché così desidera, come appena detto, chi ha interessi collegati, mentre, dall’altro lato vi è il desiderio di quelle nazioni, in primis la Germania, che si sono enormemente a vantaggiate con il sistema euro realizzando indebiti surplus commerciali e finanziari a danno dei paesi del sud Europa ed in violazione dei trattati.


Come noto il mantra recitato da queste nazioni è che esse non vogliono una condivisione del debito, cosa questa, forse capibile per strumenti come il Mes pseudo riformato o gli eurobond ma del tutto fuori luogo nei confronti dell’emissione di nuova moneta da parte della BCE volta alla sottoscrizione di titoli di stato dei paesi in difficoltà.


Le opposizioni tedesche alle manovre di QE provano proprio questo: il timore che con esse si perda quel vantaggio competitivo sinora accumulato.
Vantaggio che, si badi bene, deriva non solo dalle capacità imprenditoriali teutoniche ma anche e soprattutto dalle ampie concessioni ottenute dalla Germania sia nel dopo guerra che dopo la riunificazione.


In poche parole se la Germania non fosse stata fortemente aiutata ad uscire dal baratro post bellico non sarebbe oggi nella florida situazione economica in cui si trova.


Peccato che ora, proprio chi ha beneficiato di tanta solidarietà, si dimostri pervicacemente insensibile alle più che giustificate e necessitate richieste avanzate da parte dei paesi che adesso si trovano in difficoltà.


Ma c’è da starne certi: il tempo prima e la storia poi, ci diranno se queste scelte che palesano una chiara volontà di dominio finanziario si rivelerenno sagge, oppure, ancora una volta, drammaticamente errate.